La pedagogia conversazionale vede la scuola come un crocevia di percorsi di vita che diviene un osservatorio nel quale transitano
tutti i bambini e tutte le bambine e ai quali è necessario prestare ascolto. Gli insegnanti possono riappropriarsi di un nuovo modo di
lavorare attraverso la loro voce, i loro racconti e quelli dei loro alunni, partendo dal dettaglio, dal gesto interrotto, dal balbettio, dal
riconoscimento di se stessi e dell’altro. L’esperienza di “Il Filo Rosso” è esemplificativa di come gli insegnanti possano essere capaci
di una pedagogia del concetto, ossia di gestire quella che è la cosa più semplice per tutti gli uomini: vivere filosoficamente, come
la migliore tradizione pedagogica ci ha già abituati, dove fare filosofia con i bambini è vivere un’altra relazione educativa che consenta
il difetto, le aperture, le messe in discussione, gli imprevisti, nel solco di quella tradizione del pensiero di Freinet, Freire e
soprattutto don Milani. La loro riflessione pedagogica crede in una scuola libera di interrogarsi, di pensare, di scavare nel profondo,
senza affidarsi a specialisti esterni o addirittura spogliandosi del ruolo di insegnanti per assumere, come abili maghi trasformisti,
quello di facilitatori di pratiche filosofiche. Quindi l’insegnante è visto come colui che sa lavorare con i concetti, che li pensa e
li crea, che diviene apprendista e artigiano nel lavoro filosofico. Il problema non riguarda un insegnante che faccia pratica filosofica
a scuola, ma un insegnante che si interessi di filosofia dell’educazione, di filosofia della didattica, che produca pensiero critico,
pensosità tra le pareti della classe.
Il libro documenta la sperimentazione nata dalla collaborazione tra il professore Paolo Perticari attraverso la pedagogia degli “attesi
imprevisti” e le insegnanti della scuola dell’infanzia comunale di Pesaro “Il Filo Rosso”, che hanno sperimentato con i bambini
il libro L’oiseau philosophie di Gilles Deleuzes e della pittrice Jacqueline Dûheme.