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APPROFONDIMENTI |
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Introduzione al volume di Luigi Saragnese
Inserita il: 10/09/2008
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Gli alunni stranieri che si inseriscono nella nostra scuola debbono innanzitutto
affrontare i problemi derivanti dalla limitata conoscenza della cultura del
nostro paese di cui soffrono le loro famiglie, la cui vita sociale spesso risulta limitata
alla comunità d’origine, e dalla scarsità o inesistenza di rapporti tra scuola e
famiglia, anche perché frequentemente i genitori parlano un italiano stentato e
non sono in grado di leggere e comprendere le comunicazioni di vario tipo provenienti
dalla scuola.
Le competenze linguistiche di un bambino italiano che inizia la scuola elementare
sono, in generale, sufficientemente sviluppate e stabili da permettergli di
interagire con l’insegnante e di acquisire nuove conoscenze in maniera strutturata
e guidata.
Il bambino straniero, invece, si trova in una situazione linguisticamente svantaggiata
perché non solo deve imparare più o meno all’improvviso una nuova lingua,
ma deve utilizzare questa lingua come veicolo per apprendere dei contenuti.
Nelle nostre scuole primarie, o nei corsi di Educazione degli adulti, troviamo
bambini e ragazzi da poco arrivati in Italia, che hanno un bagaglio linguistico in
una lingua diversa dall’italiano che comprende anche il saper leggere e scrivere
abbastanza bene nella lingua di origine.
Vi sono poi bambini, figli di genitori immigrati, che pur essendo nati in Italia,
per i primi anni di vita rimangono a casa, dove parlano la lingua di origine dei
genitori; successivamente vengono inseriti nella scuola dell’infanzia o frequentano
le elementari.
Infine vi sono molti adulti la cui conoscenza della lingua è limitata al soddisfacimento
di bisogni comunicativi urgenti ed elementari: è una lingua, quindi,
povera di strutture morfologiche e sintattiche, che è insufficiente ad affrontare
realtà e relazioni più complesse.
Gli stranieri in Italia sono in una situazione di apprendimento di lingua seconda,
e non di lingua straniera, perché il contatto con l’Italiano non è limitato al
momento dell’istruzione formale, alle ore di relazione con l’insegnante, ma si
estende a tutto il tempo nel quale si è inseriti nella vita vita del posto: da quando si
sale sull’autobus a quando si va al supermercato.
Tutto ciò ha ricadute assai rilevanti sull’insegnamento, soprattutto se ciò che si
vuole insegnare non è soltanto l’insieme di regole del sistema linguistico, ma
anche il saper elaborare le conoscenze che non sono formalmente presentate a
scuola in maniera strutturata.
Conoscere una lingua “seconda” non vuol dire acquisirne esclusivamente le
regole, deve essere un “sapere operativo”, un “saper interagire” attraverso la lingua.
Questo, in qualche modo, è l’obiettivo dell’apprendimento. “Conoscere una
lingua significa saperla usare nel modo in cui gli omologhi parlanti nativi la
usano, vuol dire, quindi, saper comunicare”. Ma l’uso di una lingua in maniera
efficace presuppone delle capacità sottostanti che sono il risultato dell’interazione
di diverse competenze, fra le quali occupa un posto rilevante la componente
socio – linguistica, di cui fanno parte le condizioni socioculturali degli usi linguistici,
in mancanza delle quali non si realizza il raccordo indispensabile fra la
capacità comunicativa e le altre capacità.
Il fenomeno migratorio – ormai stabile, strutturale e numericamente consistente
– nella realtà di Torino, è lo specchio nel quale si riflette la città con il suo sistema
economico e produttivo, i suoi modelli educativi, le sue reti sociali, le sue
condizioni urbane, le sue modalità di includere/escludere nuovi cittadini.
I numeri ci dicono che nel giro di pochissimo tempo il 20% dell’ insieme della
popolazione scolastica sarà di origine straniera; che il numero di bambini italiani
continua a diminuire e che uno su tre/quattro dei nuovi nati proviene da famiglie
straniere. I dati ci dicono che ci sono quartieri, aree territoriali dove gli stranieri
sono più concentrati e dove è inevitabile che ci siano anche maggiori presenze
nelle scuole ma ci mostrano anche che c’è un processo di distribuzione su
tutta la città e verso i territori circostanti: quindi il tema riguarda tutti.
In questo contesto insegnare l’Italiano agli stranieri può e deve essere anche
educazione interculturale, non come uno “specialismo”, una disciplina aggiuntiva
che si colloca in un momento prestabilito e definito dell’orario scolastico, ma
come un approccio per rivedere i curricoli formativi, gli stili comunicativi, la
gestione delle differenze, delle identità, dei bisogni di apprendimento.
Nel fare ciò occorre evitare due rischi speculari: la rimozione delle differenze,
in primo luogo, per non far passare il messaggio che esse sono negative e perciò
da eliminare e, in secondo luogo, la mitizzazione delle differenze, perché se è
vero che esistono, è altrettanto vero che vi sono differenze in cui ci si riconosce
e altre in cui non ci si riconosce. L’obiettivo è mettere in contatto e comunicazione
coloro che appartengono ad origini tra loro lontane; il presupposto metodologico
è conoscere qualcosa di più del mondo da cui gli altri provengono e, contemporaneamente, farsi conoscere meglio.
Si tratta perciò di valorizzare da un lato l’interazione e dall’altro la relazione.
La prima porta alla scoperta delle differenze e delle analogie tra individui e
gruppi e al riconoscimento di punti di vista diversi, e, attraverso il confronto,
provoca l’analisi e la decostruzione degli stereotipi e dei pregiudizi, considerando
il processo d’incontro e di “rimescolamento” come il terreno privilegiato
dell’intervento educativo; la seconda, attraverso l’incontro e lo scambio, è
attenta alla dimensione affettiva, allo “star bene insieme”, facilita e promuove i
processi di cambiamento e di scambio reciproco, sostiene la gestione dei conflitti
e la negoziazione.
Gli stranieri che studiano l’italiano hanno a disposizione molti corsi e poche
grammatiche: quelle in circolazione, pur complete e aggiornate, hanno come
destinatario specifico l’utente di italiano L2. Questo Manuale di lingua italiana
per cittadini stranieri è stato pensato, progettato e realizzato appositamente per un
pubblico di stranieri, si propone innanzitutto di aiutarli ad apprendere l’italiano e
si rivolge a chi, come molti migranti, ha la necessità di conoscere e utilizzare la
lingua attraverso la comunicazione quotidiana.
L’autore, Salvatore Tripodi, al quale mi unisce un rapporto di stima e una amicizia
pluridecennale, ha utilizzato la propria esperienza e la propria passione di
docente maturata nelle scuole secondarie torinesi – spesso a forte presenza di studenti stranieri – per realizzare un’opera che mi pare rispondere bene ai bisogni
comunicativi e socio-linguistici di bambini e studenti migranti.
Luigi Saragnese
Assessore alle Risorse Educative del Comune di Torino
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